sabato 29 agosto 2020

L’eredità morale di Paolo Volponi

 


Il 23 agosto ricorre il 26° anniversario della scomparsa di Paolo Volponi. Ma è come non ci avesse mai lasciati perché il suo modo di guardare la realtà e di analizzarla, la concezione della politica come servizio per la comunità, la sua progettualità visionaria e nello stesso tempo concreta hanno costituito e continuano a costituire la bussola indispensabile per orientarsi in una situazione sociale culturalmente degradata in cui crescono le diseguaglianze prodotte da un milieu politico al servizio delle logiche di rapina delle leggi del mercato, in nome del liberismo senza regole del potere industriale e finanziario che plasma la società piegandola ai suoi meccanismi e interessi come magistralmente narrato con forza allegorica ne Le mosche del capitale.

A questo potere Volponi contrapponeva l’idea di un’industria, grande levatrice di modernizzazione, finalizzata non al profitto ma alla promozione e alla crescita del benessere materiale e all’elevazione culturale dell’intero Paese impegnato in una gigantesca opera di trasformazione, anche antropologica, che vedeva con l’industrializzazione la fine della civiltà contadina e con essa di un intero mondo di valori secolari. Un’idea, la sua, impregnata di umanesimo e di utopia. A suo modo un pensatore un po’ visionario e un po’ anarchico, un “comunista libertario”, un “sognatore di mondi possibili e impossibili”.

Il vuoto che ha lasciato Paolo riguarda anche la sua Urbino, un vuoto direttamente proporzionale alla mancata soluzione dei problemi che l’affliggono, da lui a suo tempo denunciati. Problemi che tutti gli urbinati conoscono: dalla viabilità al calo demografico, da una eccessiva e distorcente terziarizzazione all’abbandono del centro storico da parte dei suoi abitanti, dall’assenza di un progetto culturale all’altezza della fama della città alla decadenza di immagine e di funzione che sembra inarrestabile rispetto al capoluogo provinciale e anche all’entroterra di cui storicamente è sempre stato il perno e il punto di riferimento.

A maggior ragione oggi si sente quindi la mancanza della sua passione civile, della sua carica utopica, del suo amore per Urbino a fronte di una Amministrazione comunale che antepone un fare disordinato al pensiero razionale e quindi al progetto, che incapace di affrontare la complessità ha sostituito la politica con la propaganda quotidiana.

Ricordare, commemorare questo anniversario della scomparsa di Paolo era un obbligo doveroso e irrinunciabile. La città dovrebbe riflettere sulla sua lezione morale, civile e politica di cittadino urbinate. Tramandare, perpetuare la passione e la generosità intellettuale di un eminente narratore per dare dignità universale al luogo della sua fondamentale ispirazione.

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