Le commemorazioni si riducono troppo spesso a uno semplice sfogo di retorica. Quante volte abbiamo sentito esponenti di questa o quella forza politica battersi il petto in maniera appassionata per la Resistenza, mentre contemporaneamente facevano cose che della Resistenza contraddicevano totalmente lo spirito?
Quante volte è stato celebrato in piazza il 25 Aprile, quasi a pulirsi la coscienza e a voler lucrare sull’appartenenza a una storia politica gloriosa, mentre nello stesso tempo al governo del paese o delle amministrazioni locali si approvavano norme e disposizioni che toglievano diritti ai lavoratori, che smantellavano il Welfare, che privatizzavano la Sanità, che umiliavano la scuola; oppure mentre si governava con la destra, come avviene anche adesso; o – peggio ancora – quando si dava sostegno alle infinite e tragiche guerre con cui la Nato e gli Stati Uniti hanno portato dolore devastazione ai popoli di mezzo mondo?
In tutti questi casi, più che di omaggi al sacrificio dei partigiani, i quali si sono battuti per la liberazione del paese ma anche per una Repubblica democratica fondata sul lavoro e sull’uguaglianza e per un mondo di pace, si è trattato di vere e proprie manifestazioni di ipocrisia.
C’è un unico modo politicamente produttivo per omaggiare adeguatamente quel momento storico e per non cadere nel vizio nazionale della retorica, in realtà: ricordare che il 25 Aprile è e deve rimanere una festa divisiva. Altro che pacificazione della memoria, come da sempre pretendono i nostalgici del fascismo e come a suo tempo è stato detto anche da qualcuno a sinistra! Per fortuna la memoria del Paese è divisa, perché altrimenti si confonderebbero ragioni e torti.
Ma c’è anche un altro modo, non meno importante, per essere fedeli allo spirito della Resistenza: essere consapevoli che la memoria non serve a niente se non aiuta a cogliere nel presente l’orrore del passato.
E’ necessario allora ricordare che il fascismo non è stato soltanto generica prepotenza o violenza, ma è stato in primo luogo il braccio armato di manganello e olio di ricino al servizio del grande capitale: al servizio dei padroni delle industrie e del latifondo, i quali intendevano impedire in ogni modo l’avanzata dei lavoratori. Così come il fascismo è stato, in misura non minore, una tendenza il cui razzismo strutturale nasceva da un preciso progetto imperialistico di colonizzazione: le leggi razziali, sì; ma prima ancora i gas all’iprite e lo sterminio in Africa orientale, a cui seguiranno l’aggressione dell’Albania e quella della Grecia, per non parlare degli orrendi crimini commessi dagli italiani nei territori jugoslavi.
E’ necessario ricordare, allora, che la Resistenza e la lotta di liberazione sono vive soltanto se proseguono anche oggi. Se proseguono nella difesa senza ambiguità del Welfare, del salario e dei diritti del lavoro subordinato contro tutti i padroni. E se proseguono al contempo nella solidarietà verso i popoli oppressi che lottano contro una nuova ondata di ricolonizzazione del mondo, alla quale l’Occidente lega la persistenza del proprio dominio: nella lotta dei palestinesi per la loro terra e per avere una patria, dunque, come nella lotta di Cuba contro l’embargo e nella lotta di tutto mondo ex coloniale per uno sviluppo moderno.
Se proseguono, insomma, nella lotta contro ogni guerra e oppressione, ma anche nella lotta contro ogni forma di esclusione: contro lo sfruttamento dei migranti, contro la discriminazione di etnia, classe, orientamento sessuale. Se si incarnano, perciò, nell’idea di una comune umanità.