lunedì 26 marzo 2018

400.000 VOTI



400.000 VOTI
Non v'è alcun dubbio che 400.000 voti non siano sufficienti per costituire, allo stato attuale, una forza di trasformazione e neppure, a ben vedere, di resistenza. Ma 400.000 voti, ottenuti senza denaro, in soli 3 mesi, nel bel mezzo di un'epoca contraddistinta, rispetto al passato, da una spaventosa arretratezza culturale, da un aumento dell'analfabetismo di massa, da un peggioramento della coscienza storica, sociale e politica, ovvero da una degenerazione antropologica nel suo complesso, 400.000 voti, a ben vedere, non sono neppure un semplice alito di vento. Esprimono, al contrario, un segnale. Una possibilità di ripartenza, di ricostruzione, senza cui il baratro nel quale sta sprofondando la vita collettiva potrebbe non aver fine.
Rammentiamoci che la storia dei diritti, in Occidente e nel mondo, si trova in stretto rapporto con il peso specifico che, nei diversi paesi, è riuscito ad assumere la sinistra di classe: con la perdita di questo peso, sono arretrati anche i diritti. Se si intende risollevare questi ultimi, non si può non lavorare, pertanto, per riconferire, a una tale sinistra, una certa mole, in grado quantomeno di organizzare delle forme di resistenza contro gli attacchi che, dati i rapporti di forza sul piano sociale, continueranno ad essere sferrati indipendentemente dal governo in carica.
Buttare a mare questi 400.000 voti ed eclissarsi sarebbe sbagliato. Essi ci dicono, invece, che lavorando, partecipando ai conflitti reali del paese e del nostro tempo, è possibile ottenere dei risultati e cominciare, quindi, a smuovere certe acque.
Non esistono altre strade oggi, per resistere alle offensive che i ceti subalterni sono costretti a subire, che non passino per la ricostruzione di una sinistra antagonista (profondamente diversa rispetto ad ogni tentazione centrista o socialdemocratica che l'ha caratterizzata negli ultimi decenni), in grado di ridare una qualche forma organizzativa al conflitto sociale, senza la quale i diritti verranno a sciogliersi, uno dopo l'altro, come neve al sole.
Aver rimesso in attività centinaia di anime, aver strappato la parola “sinistra” a Renzi e D'Alema, aver ridato nuovi contenuti al termine “antifascismo” rispetto a quelli vuoti o persino reazionari con cui le correnti più moderate dell'ANPI e il PD l'avevano riempito, aver difeso, con la manifestazione di Macerata, una concezione universale di uomo, aver riportato nel dibattito politico il tema del lavoro, della stratificazione sociale, dell'anticolonialismo e della guerra, aver costretto centinaia di migliaia di persone a rimeditare il tema della giustizia sociale e altre centinaia a porsi problemi su come calare una lotta ideale nella realtà, ovvero su come fornirgli un'organizzazione concreta, in tutte le sue specifiche articolazioni, tutto questo costituisce una piccola vittoria e una battaglia che ha ridestato, siano esse consapevoli o meno, un certo numero di coscienze.
Non lasciamoci quindi fagocitare dall'ideologia della rassegnazione che certe sconfitte storiche inevitabilmente tendono ad alimentare. Non gettiamo in aria mesi di lavoro, disfacendoci dell'opera nostra. Ripartiamo da quanto abbiamo seminato. Alternative, d'altro canto, non ne esistono e chi cerca soltanto scorciatoie finirà ben presto per perdere la strada.


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