400.000 VOTI
Non v'è
alcun dubbio che 400.000 voti non siano sufficienti per costituire, allo stato
attuale, una forza di trasformazione e neppure, a ben vedere, di resistenza. Ma
400.000 voti, ottenuti senza denaro, in soli 3 mesi, nel bel mezzo di un'epoca
contraddistinta, rispetto al passato, da una spaventosa arretratezza culturale,
da un aumento dell'analfabetismo di massa, da un peggioramento della coscienza
storica, sociale e politica, ovvero da una degenerazione antropologica nel suo
complesso, 400.000 voti, a ben vedere, non sono neppure un semplice alito di
vento. Esprimono, al contrario, un segnale. Una possibilità di ripartenza, di
ricostruzione, senza cui il baratro nel quale sta sprofondando la vita
collettiva potrebbe non aver fine.
Rammentiamoci
che la storia dei diritti, in Occidente e nel mondo, si trova in stretto
rapporto con il peso specifico che, nei diversi paesi, è riuscito ad assumere
la sinistra di classe: con la perdita di questo peso, sono arretrati anche i
diritti. Se si intende risollevare questi ultimi, non si può non lavorare,
pertanto, per riconferire, a una tale sinistra, una certa mole, in grado
quantomeno di organizzare delle forme di resistenza contro gli attacchi che,
dati i rapporti di forza sul piano sociale, continueranno ad essere sferrati
indipendentemente dal governo in carica.
Buttare a
mare questi 400.000 voti ed eclissarsi sarebbe sbagliato. Essi ci dicono,
invece, che lavorando, partecipando ai conflitti reali del paese e del nostro
tempo, è possibile ottenere dei risultati e cominciare, quindi, a smuovere
certe acque.
Non esistono
altre strade oggi, per resistere alle offensive che i ceti subalterni sono
costretti a subire, che non passino per la ricostruzione di una sinistra
antagonista (profondamente diversa rispetto ad ogni tentazione centrista o
socialdemocratica che l'ha caratterizzata negli ultimi decenni), in grado di
ridare una qualche forma organizzativa al conflitto sociale, senza la quale i
diritti verranno a sciogliersi, uno dopo l'altro, come neve al sole.
Aver rimesso
in attività centinaia di anime, aver strappato la parola “sinistra” a Renzi e
D'Alema, aver ridato nuovi contenuti al termine “antifascismo” rispetto a
quelli vuoti o persino reazionari con cui le correnti più moderate dell'ANPI e
il PD l'avevano riempito, aver difeso, con la manifestazione di Macerata, una
concezione universale di uomo, aver riportato nel dibattito politico il tema
del lavoro, della stratificazione sociale, dell'anticolonialismo e della
guerra, aver costretto centinaia di migliaia di persone a rimeditare il tema
della giustizia sociale e altre centinaia a porsi problemi su come calare una
lotta ideale nella realtà, ovvero su come fornirgli un'organizzazione concreta,
in tutte le sue specifiche articolazioni, tutto questo costituisce una piccola
vittoria e una battaglia che ha ridestato, siano esse consapevoli o meno, un
certo numero di coscienze.
Non
lasciamoci quindi fagocitare dall'ideologia della rassegnazione che certe
sconfitte storiche inevitabilmente tendono ad alimentare. Non gettiamo in aria
mesi di lavoro, disfacendoci dell'opera nostra. Ripartiamo da quanto abbiamo
seminato. Alternative, d'altro canto, non ne esistono e chi cerca soltanto
scorciatoie finirà ben presto per perdere la strada.
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